in principio...
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Correva l'anno 2019 quando il virus Omnia si liberò dalla sua prigionia nel nocciolo del reattore nucleare in Francia: nessuno si sarebbe aspettato che un batterio innocuo quanto un semplice raffreddore si potesse evolvere grazie alle radiazioni, e tramite le stesse portare morte e generare epidemie e mutazioni, così che, successivamente, il disastro di Chernobyl sembrò soltanto una bazzecola. Quasi l'80% della popolazione mondiale si estinse, e quei pochi che riuscirono a salvarsi si rifugiarono nei grandi bunker sotterranei costruiti appositamente in modo tale da poter salvare quella percentuale meritevole, coloro che avevano la moneta contante da scambiare per la propria incolumità.
Il denaro: l'unico Dio su cui l'uomo ha costantemente riposto la sua fede maniacale; il solo oggetto del desiderio per cui avrebbe potuto sconfinare anche sui comandamenti cristiani, venduto i propri cari, tradito persino, pur di toccare con mano l'oro.
C'è chi dice che l'Apocalisse fu un bene dettato da un'entità che un tempo qualcuno osava chiamare Dio, per ripulire la Terra dai peccati di cui l'umanità si era macchiata, come venne ancor prima citato nel Vecchio Testamento; altri che fu colpa dell'errore umano, la sua smania di avere potere su ciò che non può controllare; ed io, del resto, devo dissentire: il genere umano non ha imparato dai propri sbagli, s'è solo rintanato come un coniglio sottoterra, incapace di combattere per mettere al sicuro coloro che non avevano alcuna possibilità economica, ed ha costruito fortezze nella roccia friabile sotterranea, ricavandovi delle metropoli collegate tra loro da mezzi tecnologicamente all'avanguardia, ha sviluppato sistemi di iperventilazione sicuri, capaci di proteggere gli abitanti del sottosuolo e preservarli dal pericolo di una possibile nuova contaminazione. Avevano tutti venduto la propria anima al soldo per puro egoismo, o per come piace ai politici di oggi chiamarlo, istinto di sopravvivenza. Non erano che bestie, mosse tuttavia da una forza non paragonabile all'istinto: avevano salvato l'umanità, imprigionandola in gabbie di cemento armato e sistemi avveniristici che l'avrebbero resa schiava di politiche subdole e totalitarie atte ad azzerare la libertà di ogni individuo. A volte, penso, sarebbe stato più onorevole morire liberi che vivere in catene, sotto il giuoco di un despota assolutista posizionato sul trono da chissà quale forza politica, o dalla provvidenza divina, ormai estinta quasi quanto il genere umano.
Eravamo più vicini all'Inferno, invece di essere attigui a Dio, come volevano far credere quei pazzi che avevano preso il controllo di quelle metropoli del sotto suolo.
Lazzaretto era la metropoli europea: situata sotto la Svizzera, era la più piccola dei tre bunker che in duecento anni si erano espanse ed evolute sino a divenire grandi città; ospitava ora circa cinque milioni di abitanti provenienti da tutti gli stati che, un tempo, comprendevano il vecchio continente. Sfavillante di colori fluorescenti che rilucevano da ogni angolo, il piccolo gioiello nato tra le radici di Zurigo era in continua espansione, e a discapito di ciò che menzionava il cartello d'entrata, “ove gli angeli volano” appariva più come l'immagine dei caduti che governano negli Inferi, piuttosto che nell'Eden descritto dalle sacre scritture; perchè, come già ricordato, oramai gli esseri umani avevano abbandonato la fede cristiana per seguire soltanto il proprio benestare e nulla più. A confermare la mia tesi, le mappe, che si potevano reperire in qualsiasi negozio di souvenir all'interno della stazione, ben raccontavano che nel centro città della metropoli europea si poteva trovare il famoso quartiere a luci rosse, o Red Light District. Ci potevi trovare vari luoghi segnalati come punti focali della città, come il Paradise Lost, un nightclub –o forse sarebbe meglio definirlo col nome più appropriato di strip club– in cui uomini di qualsiasi ceto sociale, me compreso, si radunavano per bere superalcolici di dubbia provenienza e ammirare coloro che venivano definite gli “angeli perduti”. Definire il Paradise Lost una tappa fondamentale nel tour di Lazzaretto sarebbe come vedere Dante e Virgilio soffermarsi più a lungo –e pagare con denaro contante– nel girone dei lussuriosi. Meta turistica interessante, oserei dire, ma non consona alle famiglie. Piuttosto, avrei raccomandato il municipio o l'università, che conteneva un'enorme biblioteca dove venivano custoditi gli ultimi libri sopravvissuti al disastro.
Vivevamo in un mondo nuovo, formato principalmente da egoismo e superficialità, causato anche dalla vita lineare che queste gabbie futuribili avevano donato; non vi era più alcuna minaccia da sventare, nessuno si poneva più il problema di scappare per mettersi in salvo, avevamo perso ciò che si intende per “essere”. Esistevamo per il semplice fatto di inalare ossigeno.
La criminalità crebbe anche in questi piccoli paradisi antiatomici, quando le risorse divennero troppo costose anche per chi aveva sborsato somme esose per scampare alla minaccia radioattiva; infine, chi non aveva più alcunché da perdere, si diede alla malavita. Fu così, che alla fine, nacque il ghetto di Lazzaretto, un luogo dove nemmeno le forze armate avevano il coraggio di entrare, o almeno se avevano cara la vita. Bande e organizzazioni criminali di stampo mafioso si fecero largo in quella che venne chiamata Suburbia, i bassifondi di una metropoli prospera che nascondeva, tuttavia, il suo lato oscuro, come era consono alla Luna. Nessuno ne parlava, né ne aveva alcuna voglia; quindi, anche i furti, gli assassini e le puttane furono insabbiati, come se nulla di tutto ciò fosse realmente importante, e talvolta, negandone l'esistenza. Doveva sembrare un mondo perfetto, quando, in verità, era pieno di difetti piuttosto grossolani, e più il malcontento ingrossava le sue fila nei ranghi della mafia, più le forze politiche perdevano il loro mordente sulla popolazione; pian piano, ci saremmo ritrovati al punto di partenza, o peggio, in una realtà che sprofondava ancor di più nella corruzione. I poveri morivano di fame, e il Governo si preoccupava soltanto della crescita economica: nulla era, quindi, cambiato; ci eravamo solo avvicinati solo ad una involuzione della società, al baratro inevitabile in cui saremmo finiti di lì a poco per cause di forza maggiore.
La seconda era Purgatorio, la più popolata delle tre e posizionata sotto al vecchio centro di Buenos Aires: questa metropoli contava circa dieci milioni di anime e due volte l'estensione di entrambe le sue gemelle; alcuni dicono che somigli alla vecchia e ormai defunta Las Vegas; in effetti, le sue luci stroboscopiche e l'esubero di casinò sembrerebbe essere un tributo alla città dell'eccesso, portando sicuramente Purgatorio ad essere una sorta di vademecum di ciò che ci fu anni prima in Nevada. Si può dire che questa città sia famosa e prosperi soprattutto per le slot machine e il gioco d'azzardo, tuttavia è bene ricordarla non solo per i numerosi casinò o gli hotel lussuosi ispirati alla magnificenza di Dubai, ma anche per il locale di tendenza della metropoli, il Limbo: musica techno a tutto volume, cameriere in abiti succinti e cocktail dai colori psichedelici; sembrerebbe il clichè della classica discoteca che tutti conosciamo, se non fosse che in ognuno di quei drink vengono inseriti acidi e oppiacei resi legali dalle case farmaceutiche che tengono in piedi l'economia del paese. Avevate pensato che l'economia si basasse solo sul divertimento? Ebbene, non è così: molte delle case farmaceutiche proliferavano e facevano campare la metropoli dei loro fruttuosi guadagni proprio grazie alle droghe che avevano legalizzato, come la cocaina o l'anfetamina, largamente usate dai giocatori d'azzardo o dai figli delle famiglie borghesi. I tossicodipendenti avevano dato una svolta all'economia del paese.
La città vide la sua prosperità nei primi dieci anni di ripopolamento, quando ancora il controllo sulle nascite non era ancora così rigido come lo è divenuto dopo duecento anni in cui la crescita demografica ha toccato picchi elevati, portando, in seguito, a pensare di porre dei limiti: ove prima vi era la libertà di poter mettere al mondo un numero indefinito di bambini, ora le leggi comandavano che non più di un centinaio di nuovi nascituri all'anno potevano essere concessi. Non erano più padroni di creare una vita, probabilmente non lo erano nemmeno dell'ossigeno che immettevano nei loro polmoni. Pian piano, anche nella metropoli sudamericana si sviluppò un regime di terrore che portò allo scaturire non soltanto dei dissapori, ma anche le così dette zone d'ombra: altro non erano che enormi favelas ove venivano rinchiusi dissidenti politici, criminali, gente scomoda sotto molti punti di vista, come evasori fiscali, rivoluzionari e, in rari casi, anche brillanti studiosi che si opponevano al sistema totalitario del loro despota. La pena di morte venne ristabilita e con essa il tasso di mortalità crebbe del 51%. Essere giustiziati sulla pubblica piazza non era, eppure, l'unica causa di morte a Purgatorio: ben presto, la mancanza di cibo, acqua e igiene nelle zone d'ombra portò ad un incremento di malattie che si pensavano debellate qualche secolo prima; tra quelle che il servizio sanitario elencò, apparvero casi di peste, ebola, vaiolo, malaria e scabbia, e le cifre di persone che avevano contratto il virus dell'HIV crebbe a dismisura, senza contare che i medicinali erano fuori dalla portata di un terzo della popolazione; era, pertanto, ardua la scelta se perire per mano di un soldato che imbracciava un mitragliatore, o in maniera lenta e dolorosa da una delle patologie appena elencate.
L'ultima delle metropoli era Hansenbyō: l'imboccatura che portava all'entrata della città era posta al limitare della stazione ferroviaria di Tokyo. Considerata la punta di diamante delle tre metropoli, il bunker asiatico aveva mantenuto le tonalità e l'architettura del Giappone antecedente alla contaminazione, così da apparire come un'enorme pagoda arancio e bianco, abbellita dai mille alberi di ciliegio perennemente in fiore che si potevano ammirare per le varie vie della città nipponica metropolitana. Era l'unica delle tre metropoli a poter godere di un sistema tecnologico che ricreava alla perfezione la luce solare, e di tale scoperta ne custodivano gelosamente il brevetto nel caveau della tesoreria cittadina. Famosa per le colorate parate di teenager dagli occhi a mandorla, la metropoli situata nelle viscere della capitale giapponese possedeva l'ultimo lunapark funzionante del pianeta: veniva chiamato Henjin no sākasu, o tradotto nella lingua corrente, circo degli strambi, in onore ai fenomeni da baraccone che si esibivano sui palcoscenici, sotto la ruota panoramica, di fianco alle montagne russe e ad altre strabilianti attrazioni ispirate al vecchio mondo; si diceva che questi individui provenissero dall'esterno, che fossero quindi outsider, altri sospettavano fossero gli ultimi ad essere stati contaminati e mutati dalle radiazioni del virus Omnia, per cui sopravvissuti per raccontarlo e mostrarlo al pubblico pagante. Erano dei mostri, ammirati da tanti altri mostri, invisibili ad una prima occhiata, ma che nascondevano la loro vera natura nelle profondità dei loro ego. Spostato sul limitare della città vi era il Jingoku (tradotto, Inferno), un locale che sembrava un'insana trasposizione dell'Inferno dantesco mescolato alla cultura K-pop: colori sfavillanti, band pop che si esibiscono sui palchi, travestiti da demoni multicolori e parrucche fluorescenti, capigliature stravaganti e cocktail color pastello. Perchè avessero scelto di dare un tocco coreano a quel locale è tuttora un mistero anche per me. Si suppone, in ogni caso, che i proprietari del club provenissero dall'ormai dimenticata Corea del Sud, e che l'idea di creare un locale basato su tale cultura potesse portarne avanti il ricordo, cosa che in realtà è stata totalmente dimenticata dall'ignoranza dei burattini nipponici.
Da quel che raccontarono i giornali che arrivavano con cadenza mensile costante, gli asiatici avevano venduto la loro libertà personale al controllo del loro dittatore, pur di aver salva la vita. In cambio, ricevevano le razioni di viveri che il governo mandava loro, pur di avere la loro completa sottomissione. Più di questo non si sapeva, c'è chi diceva che il governo avesse contaminato l'acqua con qualche sostanza che inibisse il libero arbitrio e rendesse la popolazione simili a soldatini diligenti, pronti a esaudire ogni desiderio il loro despota esprimesse verbalmente; erano pericolosi, in mano ad un invasato che paragonava la sua persona al pari di un Dio ormai dimenticato, ricoperto di oro e sete pregiate, ingrassato a tal punto da essere più simile ad un suino che ad un essere umano. Avevo come il presentimento che prima o dopo ci saremmo ritrovati quei sette milioni di asiatici ad invadere le nostre case, e poi chissà, dopo l'Europa avrebbero conquistato anche il Sudamerica, e da lì saremmo tutti diventati degli schiavi in stato quasi vegetativo, incapaci di poter ribattere.
Le tre metropoli del sottosuolo erano collegate, come definito già qualche riga precedente, da un sistema tecnologicamente avanzato di trasporti ad alta velocità su condotti ad idrogeno, seguendo il modello sottomarino U-212 di fabbricazione tedesca; i viaggi erano, comunque, molto dispendiosi, e solo soldati, ambasciatori, politici ed elitari della società potevano spostarsi da un punto all'altro del globo; la gente comune nasceva, cresceva e moriva nella città designata senza avere mai la possibilità di avere una reale scelta sul dove e come vivere. Era questo il reale problema nel nuovo mondo: avere una scelta, prendere una reale posizione, combattere per i propri ideali. Se si tentava di compiere uno dei tre punti appena citati, si finiva sulla sedia elettrica, ghigliottinato o giustiziato all'angolo di un vicolo, senza poter confessare i propri peccati alla prima anima disponibile. Solo, inerme, annegato in una pozza del proprio sangue.
Vi starete chiedendo che fine abbiano fatto continenti come Africa e Australia: il 90% della prima perì ancor prima che si potesse dare l'allarme, il restante 10%, formato soprattutto da una cospicua somma di califfi e gente proveniente dagli Emirati Arabi, comprò la salvezza con l'oro e il sangue di chi avevano abbandonato al loro destino; metà della popolazione dell'Oceania, invece, trovò rifugio nella metropoli nipponica, ed ancora oggi occupano uno dei quartieri meno caratteristici di Hansenbyō. Il quartiere viene chiamato Kangaroo Road e per la maggior parte dei casi troverete ristoranti tipici della cultura australiana e una riproduzione in scala minore della Sidney Opera House, o così ho notato da un reportage al telegiornale, sebbene dove bazzico io le televisioni sono oggetti per ricchi e non per pezzenti del mio calibro.
In “l'unico e le sue proprietà”, Stierner dice “il vincitore diviene padrone, il soccombente lo schiavo; quegli esercita l'imperio, “diritto sovrano”, questi adempie umile e riverente i doveri di suddito”, e non potrei essere più d'accordo: l'umanità si era arresa ai propri regnanti, senza opporsi, senza combattere, si abbandonava alla sua vita di tiranneggiato, e so di averlo già ripetuto molte volte nel corso della mia spiegazione cronologica, ma è bene rimarcare su tale punto; l'unica cosa che premeva a tutta questa banda di automi coperti da abiti e pelle era una sola: quella di non doversi preoccupare di scegliere, perchè avere una scelta, un'idea rivoluzionaria, era la maggiore causa di morte. Avere degli ideali uccideva più della malaria e del colera; perciò, la mia domanda fondamentale era una sola: cosa ci spingeva a rimanere in vita se non avevamo alcuna prospettiva? Tutti coloro che erano morti a causa del disastro, erano forse periti per lasciare che delle persone vuote di spirito sopravvivessero? Non mi sono mai posto grandi domande, sino a quando non ho conosciuto la verità, e tutto ciò che sapevo, tutto quello su cui avevano mentito per anni, finalmente aveva un senso.